Racconti
No brilho azul do mar uma gaivota (II Parte)
Titolo del racconto: No brilho azul do mar uma gaivota (Nello scintillìo azzurro del mare un gabbiano)
Autore: Silvia Privitera
Biografia: Silvia Privitera, 34 anni. Archeologa, interprete, guida turistica, insegnante… e mamma.
Ho sempre sentito il mare come un richiamo irresistibile. Dalle onde che eterne vagano tra un mondo e l’altro è scaturito il mio desiderio di conoscenza, che mi ha portato a studiare l’arte, le lingue e le culture dei principali popoli che nei millenni si sono affacciati sul Mediterraneo.
Ne ho fatto la mia vita.
Amo assaporare le parole, ma non avevo mai pensato di scrivere…
NO BRILHO AZUL DO MAR UMA GAIVOTA
*Nello scintillìo azzurro del mare un gabbiano
Il mattino seguente, João fu svegliato dallo scalpiccio dei gendarmi che passavano velocemente nei pressi della sua catapecchia per dirigersi verso la spiaggia. Gli ci vollero diversi minuti per tornare in sé, mentre ricordi confusi della sera prima cozzavano tra le sue meningi.
Ben presto una voce si sparse per tutti i vicoli di Porto: era sparita una ragazza da un bordello, la polizia la cercava stancamente, con l’idea non espressa che fosse scappata con un cliente, e la convinzione che difficilmente l’avrebbero ritrovata, e di sicuro non viva. Le sue compagne erano terrorizzate, temendo che un killer si aggirasse in città, mentre tra gli abitanti l’inquietudine diveniva palpabile. La vita continuava come sempre, nella brulicante attività tra i vicoli e i moli, e presso il faro e le centinaia di chiese che servivano la gloria cittadina; ma un tarlo minava la serenità di quella comunità marinara stretta tra il fiume e l’Oceano.
Passò così quasi tutta la giornata, mentre dicerie si accavallavano ad altre notizie e pettegolezzi; finché sul finire del pomeriggio si unificarono in un’unica direzione.
Il giovane decise di seguire la folla di curiosi che si ammassava verso la sughereta, faticosamente contenuta da un cordone di soldati mercenari. Riuscì, a gomitate, a farsi largo fino alla prima fila, e finalmente la vide: sulla rena giaceva il corpo scomposto di una giovane donna, col ventre gonfio e il cranio sfracellato. Le onde giocavano con garbo tra i suoi capelli corvini, muovendoli con posata lentezza, e le davano l’aspetto di un’anemone addormentata. Accanto ai suoi piedi, delle grosse corde. La sua mano candida, affusolata, era poggiata sul bagnasciuga, delicatamente accarezzata dalla marea rassicurante.
Poteva avere sedici anni.
João si sentiva disgustato, le lacrime gli affioravano alla coscienza, e provava una voglia indicibile di gridare con quanto fiato avesse in gola, e di fuggire il più possibile lontano da quella scena orrenda.
Ma quando si voltò per andarsene da lì, incrociò uno sguardo, un volto, una barba ispida che non gli era nuova. Fu solo un istante, poi l’ombra si dileguò tra la folla mentre João metteva insieme i frammenti del puzzle: si trattava dello stesso uomo che aveva visto diverse ore prima gettare in mare la ragazza. Le gambe non si muovevano più, la voce non ne voleva sapere di uscirgli dalla gola, e restò così, immobile, per alcuni secondi, che gli furono sufficienti per rendersi conto che non doveva assolutamente parlare. Non doveva fare proprio niente.
Gli pareva di sentire già il cappio cingergli il collo: cosa avrebbero pensato di un ragazzino delle campagne, che viveva alla giornata, se avesse accusato di omicidio una persona di cui ignorava qualsiasi cosa, e che già si era volatilizzata? Sicuramente non gli avrebbero creduto, e le accuse gli si sarebbero ritorte contro.
Vagò senza meta per diverse ore, giorni, deciso a calmarsi e tacitarsi; le rocce alla base del faro divennero il suo luogo abituale: lì le onde si frangevano con una violenza tale da farlo sentire in sintonia con gli elementi, mentre la burrasca gli agitava l’animo, e lui tentennava sul da farsi come una nave travolta dalla furia dei venti. La sua mente trovò infine la pace, ma la sua coscienza no, e la manina bianca della ragazza uccisa gli si intrufolava nei pensieri a reclamare vendetta.
Finché una mattina, dopo un tuffo per pescare molluschi da vendere agli inservienti del porto, e mentre grondante di acqua salmastra si stava issando con una gomena legata ad una bitta, ecco che si ritrovò davanti quello stesso uomo, accovacciato su un mucchio di gomene, intento a sbucciare un’arancia. Come un fulmine a ciel sereno, costui rientrava prepotentemente nella sua vita, e quasi senza rendersene conto il ragazzo decise di seguirlo.
L’assassino appariva pervaso dalla stessa inquietudine che affliggeva lui: gironzolava in qua e in là tra le bettole della riva, ma mangiava poco e beveva con aria distratta; passeggiava nervosamente lungo il Douro, calciandovi tutti i sassi che trovava per romperne l’eterno scorrere, ma senza mai alzare lo sguardo sull’ambiente circostante; si incamminava su per le scalinate che contornavano le colline della città, componendo lunghi giri concentrici, fino a bloccarsi davanti ad un palazzo… e poi ricominciava il giro, sempre più inquieto, e terminava nuovamente lì.
Si trattava di un elegantissimo palazzo della nobiltà locale, in una zona periferica del quartiere più ricco della cittadina. Gli azulejos che decoravano la facciata erano di pregiatissima fattura, dando una vivace eleganza alla composizione. Più che come villa, si configurava piuttosto come un casino di caccia, una dimora secondaria sorta per i capricci del suo proprietario, affacciandosi direttamente sulla strada. Alle sue spalle si estendeva un giardino piuttosto articolato, ben curato, e sicuramente dai piani superiori si poteva godere di una delle viste più suggestive della città, che spaziava dalle strade tortuose che si arrampicavano sulle colline, fino alla riva del Douro e al mare retrostante. I venti oceanici portavano fin lassù l’odore salmastro degli abissi, mescolandolo all’aroma di zagara e gelsomini del giardino, per dar vita ad un profumo inebriante.
Il delinquente sembrava avere una fissazione con questo edificio, ma non osava mai entrarci; attendeva anche intere ore, rigirandosi nervosamente il cappellaccio fra le mani, finché una mattina non ne uscì un uomo imponente, elegante, altero, che il giovane riconobbe immediatamente per averlo già visto sulla banchina in quella notte maledetta.
“Dom Sebastião, permettete una parola…”
La voce dell’assassino era cavernosa, e allo stesso tempo stridula; si insinuava come melassa verso l’interlocutore, che si voltò di scatto con un sussulto. João lo vide trasalire, percepì la sua preoccupazione, ma quest’uomo uso a controllare tutto e tutti rispose semplicemente con un segnale distratto indicando le finestre più alte. Aspettò che il furfante si introducesse nel suo palazzo, e dopo qualche minuto vi rientrò anch’egli, seguendolo sulla stretta scalinata verso il piano nobile.
Accertatosi che la via fosse libera, João entrò a sua volta, buttandosi nell’ombra spessa di quel portone imperioso; salì al piano superiore, celandosi in una rientranza da cui potesse origliare la conversazione all’interno senza tema di essere scoperto se qualcuno fosse uscito di sorpresa. Le voci gli giungevano confuse, lontane, ma ne percepiva chiaramente il significato.
“Voglio altri soldi, o un salvacondotto per andarmene da qui.”
“Sparisci, feccia!”
“Ho scoperto chi siete… un pezzo troppo grosso, perché io mi accontenti di quelle briciole.”
“Senti, Ricardo: non ho avuto ripensamenti a condannare a morte quella meretrice di mia figlia, pensi forse che mi periterei a far scivolare in mare anche il tuo cadavere?”
“Ma senhor, in diversi mi hanno visto entrare, e se non uscirò si comincerà a mormorare su di voi….”
Dom Sebastião Araújo Cardoso sussultò: non era abituato a sentirsi minacciare. Poi il suo sguardo si tramutò in uno spiraglio: “Sta bene, miserabile; torna domani a quest’ora e avrai quel che ti spetta.”
Il delinquente girò i tacchi e scese le scale: João aspettava che uscisse dal portone per potersi lanciare sulle sue tracce, quando imperiosa dall’interno risuonò la voce dell’altro uomo.
“Caetana! Vieni qui.”
La ragazza, colma di timore reverenziale, arrivò in tutta fretta, inchinandosi al suo padrone.
Quale che fosse il suo volere, era necessario obbedire con solerzia per non incorrere nella sua ira.
“Vieni, dolcezza…”, la tirò su lui, pizzicandole i seni, “Ho deciso riguardo al tuo matrimonio: ti darò la mia benedizione per sposare quel tuo spasimante, e rinuncerò a qualsiasi privilegio verso di te, ma tu prima dovrai fare una cosetta per me…”
“Tutto quello che volete, mio signore.”, rispose lei incredula che il padrone le lasciasse finalmente coronare il suo sogno d’amore, liberandola da quella sorta di schiavitù.
“Sai far entrare quel tuo Vicente Oliveira in questa casa senza che nessuno se ne accorga?”
Le gote della serva divamparono, mentre lei terrorizzata chinava lo sguardo farfugliando un tentativo di negazione.
“Andiamo, sgualdrinella: credi che non sappia che vi incontrate anche qui in casa mia?! Dovrei bastonarti per questo, o farvi impiccare per l’offesa che mi recate! Ma sarò magnanimo, se voi mi obbedirete ciecamente nelle prossime quarantott’ore.”
Caetana tremava come una foglia, e iniziò a piagnucolare.
“Smettila immediatamente! Lo sai che mi eccita vederti così succube. Ma ora voglio altro da te: stanotte farai entrare il tuo amante, e lo terrai nascosto fino a domani a quest’ora. Poi, voglio soltanto che indossi certi abiti che io gli darò, e che se ne vada da questa casa dal portone principale. Tu invece, farai portare domattina in questa sala il baule della stanza verde, poi scenderai al porto a consegnare una lettera che ti preparerò, chiaro? Se tutto andrà come voglio, entro fine ottobre sarai sposa.”
“Sì, dom Sebastião.”
“Ora vattene.”
Rimasto solo, si trastullò ad osservare i tetti della città. Lasciò vagare lo sguardo sino alla profonda striscia blu che delimitava l’orizzonte e immaginò la scena: nel bel mezzo dell’Oceano, a centinaia di miglia da qualsiasi forma di civiltà, un prezioso baule cade maldestramente tra i flutti, che magnanimi si richiudono rapidamente al di sopra celando per sempre il cadavere di quello stupido parassita di Ricardo Almeida, sigillandone il destino. Dom Sebastião Araújo Cardoso, discendente di una delle più antiche famiglie di Porto, non era persona da farsi ricattare da un criminale dei bassifondi, e i favori che aveva più volte reso al Capitano Oliveira, in partenza per le Indie con la sua Gaivota, sarebbero stati finalmente ricambiati.
Pensò un momento anche alla ragazza morta, Mariana Araújo Da Silva… La sua bambina ribelle, sfacciata, che finalmente aveva avuto quel che si meritava. Lui aveva dato l’anima per crescerla nel miglior modo possibile, per combinarle uno dei matrimoni più altolocati ed aumentare ancor più il prestigio della famiglia. E quella sciagurata ingrata aveva pensato bene di scappare di casa, seguendo il primo garzone che le aveva fatto gli occhi dolci! L’aveva ritrovata quattordici mesi dopo, in un bordello della costa: dai clienti si faceva chiamare Paloma, e lui non aveva retto all’onta e al disprezzo. “Io ti ho dato la vita, io te la tolgo”, semplice. Peccato soltanto essersi dovuto servire di quell’idiota per attirarla all’esterno e trasportarne poi il cadavere. Che non era nemmeno riuscito a far sparire come si deve! Ma fortunatamente, l’influenza di dom Sebastião era sufficiente da far cadere nel dimenticatoio le indagini sul cadavere di una prostituta.
Non un dubbio, non un ripensamento, non una briciola di compassione: “Lei non se lo merita.” Inesorabile come il mare in tempesta, che sospinge la mareggiata verso la costa.
Inesorabile come la marea che lentamente sale, e sommerge tutto ciò che incontra sul suo cammino.
João intanto era rimasto rintanato ad origliare, poi non sentendo più alcun rumore era sceso silenziosamente, rimuginando tra sé e sé. Non lo convincevano affatto le parole del padrone di casa, di certo tramava qualcosa di tremendo, ma non era sicuro di essere già in possesso di tutti i tasselli del rompicapo. Doveva correre a cercare quel Ricardo per metterlo in guardia dal pericolo?
Mentre così si lambiccava, udì la porta del senhor Araújo aprirsi e richiudersi seccamente, e come un turbine il padrone di casa discese nell’androne. João face in tempo letteralmente a tuffarsi in strada, ma non era il caso di fuggire: avrebbe certamente destato dei sospetti.
Reso scaltro dal panico, si accucciò al suolo tirando fuori grasso e spazzola da una bisaccia lisa, giusto nel momento in cui la mole di dom Sebastião appariva incorniciata dal portone. Il nobiluomo scrutò in ambo le direzioni, poi quasi inciampò in quel ragazzetto pelle e ossa che lo fissava dritto negli occhi, ammutolito.
“Ah, dannazione! Levati di qui, i tuoi strumenti sono ben più sudici delle mie scarpe!”
Lo fissò con disprezzo per qualche istante, poi lo scavalcò e se ne andò in direzione della Sé do Porto, la cattedrale-fortezza che imponente dominava la città.
Continua a seguirci per scoprire come finisce il racconto!

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