Racconti
No brilho azul do mar uma gaivota (III Parte)
Titolo del racconto: No brilho azul do mar uma gaivota (Nello scintillìo azzurro del mare un gabbiano)
Autore: Silvia Privitera
Biografia: Silvia Privitera, 34 anni. Archeologa, interprete, guida turistica, insegnante… e mamma.
Ho sempre sentito il mare come un richiamo irresistibile. Dalle onde che eterne vagano tra un mondo e l’altro è scaturito il mio desiderio di conoscenza, che mi ha portato a studiare l’arte, le lingue e le culture dei principali popoli che nei millenni si sono affacciati sul Mediterraneo.
Ne ho fatto la mia vita.
Amo assaporare le parole, ma non avevo mai pensato di scrivere…
NO BRILHO AZUL DO MAR UMA GAIVOTA
*Nello scintillìo azzurro del mare un gabbiano
Per João si prospettò una nuova nottata di inquietudine: denunciare? Scappare? Avvertire il delinquente della minaccia? Immancabilmente, i suoi pensieri tormentati lo accompagnarono verso il fiume. Scese quasi ipnotizzato attraverso i vicoli e le scalette che congiungevano gli austeri quartieri nobili e borghesi con la trafficata quotidianità del sobborgo portuale. La foce del Douro si estendeva davanti ai suoi occhi in un tripudio di colori, gabbiani festanti volteggiavano al di sopra dei pescherecci che si accalcavano fra le due rive, grida di donne, mercanzie, animali di ogni genere che vagavano tra un compratore e l’altro, monelli scalzi che si esercitavano nell’arte della scaltrezza e dell’imbroglio.
João attraversava quella fiumana indaffarata senza curarsi delle bestemmie e degli spintoni che riceveva, continuando imperterrito il suo cammino verso la zona in cui l’acqua dolce incontra l’acqua salata; sentiva dentro di sé pensieri e sensazioni diverse intrecciarsi e fondersi allo stesso modo, come un frammento di universo in cui tutto è possibile, tutto è vero. Le mille alternative di scelta, i mille destini in agguato, le mille emozioni contrastanti, le mille decisioni da prendere, i mille demoni che lo inseguivano…
Finché di colpo la sua visuale fu oscurata dalla maestosa caravella che si ergeva davanti a lui.
Un riverbero colpì il suo sguardo, che ammirava affascinato quello spettacolo: mai aveva visto niente di simile, una nave così imponente, alta, panciuta. Il legno traslucido delle murate rifletteva i raggi assonnati del sole d’autunno, creando nelle onde sottostanti dei giochi di colore inimmaginabili; pareva che un pittore impazzito avesse scaraventato in mare l’intera sua tavolozza, per la rabbia di non saper rappresentare un intreccio così intenso e sublime. I pennoni reggevano vele immense, arrotolate in attesa di solcare l’Oceano, e le coffe erano talmente in alto che pareva toccassero il cielo. La caravella attendeva altezzosa, mentre centinaia di facchini, marinai e lacchè si affaccendavano per caricare casse di viveri e mercanzie all’interno della stiva, creando un formicaio umano in uno dei più grandi porti atlantici d’Europa: la foce del Douro convogliava l’economia della penisola iberica e dell’intero continente nella rotta verso le terre recentemente scoperte, e anche questa nave si apprestava al suo viaggio verso il Nuovo Mondo, per conquistare, colonizzare, razziare quante più ricchezze possibili.
João Dias Pinto aveva quattordici anni, e non sapeva cosa decidere.
Un marinaio ubriaco cominciò a canzonare la sua chioma fulva, un altro gli diede corda e prese a spintonarlo. Si trovò circondato da quattro energumeni che lo sospingevano tra le botti pronte per l’imbarco, facendolo indietreggiare verso l’orlo del molo cui la nave era affiancata. La rissa si stava scaldando, spuntò un coltello, quando imperiosamente dall’alto della murata intervenne il capitano.
“Branco di cani, tornate immediatamente al vostro lavoro! La paga vi verrà decurtata di uno scudo, avanzi di galera! E tu, ragazzo, che vuoi?”
“Io? No… non…”
“Ti hanno tagliato la lingua? Se stai cercando lavoro è la tua serata fortunata, ci manca giusto uno sguattero: vuoi imbarcarti in cerca di fortuna?”
Ecco, l’opzione che non si era aspettato. Era forse questa la soluzione che avrebbe dato una svolta alla sua vita? Partire, lasciarsi dietro tutto: la sua infanzia di povertà, il suo barcamenarsi tra i vicoli e le bettole di quella città portuale, la ragazza assassinata, i due delinquenti a piede libero… Porto era stata solo una tappa nella sua vita, nella sua scalata al successo, nel suo crearsi un futuro? Un trampolino da cui spiccare il volo per un mondo nuovo?
Forse era proprio la sorte a decidere per lui, e senza nemmeno rendersene conto annuì.
Il piano di dom Sebastião si svolse senza il minimo intoppo: non appena l’incauto Ricardo si presentò ad estorcergli denaro, costui lo accolse con tutti gli onori, gli offrì un bicchierino di ottimo porto, e attese con nonchalance che il veleno facesse effetto. Lo vide sbarrare gli occhi, impallidire e poi divenire paonazzo, cianotico, mentre si portava entrambe le mani alla gola che soffocava, e poi inerte si abbandonava su un divanetto di seta.
Lo spogliò con distacco, richiuse il cadavere nel baule approntato dalla sguattera, poi chiamò quest’ultima e il suo amante.
“Tu indossa questi: calati il cappuccio sugli occhi e vattene senza voltarti indietro. Fatti vedere, ma cerca di non farti seguire da nessuno, poi tornatene tranquillamente a casa e brucia i vestiti. I tuoi te li porterà stasera Caetana, insieme alla dote.”
“Oh grazie, senhor!”, esclamò il poveraccio gettandosi ai suoi piedi, mentre la serva commossa gli baciava la mano. Dom Sebastião ritirò le dita con signorilità, ma non resistette dall’allungarle sulle forme sode della poveretta, a ribadirne il sempiterno possesso.
“E tu, dolcezza, scendi al porto: consegna questa lettera nelle mani di Fernando Oliveira, capitano della Gaivota. Dovrà venire qualcuno a prendere questo baule per caricarlo sulla nave. Una volta che il baule sarà a bordo, vi darò la mia benedizione.”
Veloci i due obbedirono agli ordini loro impartiti.
Quando il Capitano lesse la missiva, capì solo che non doveva fare domande; e si sentì sollevato nel potersi liberare del debito che lo legava al senhor Sebastião Araújo Cardoso. Finalmente avrebbe potuto solcare il mare a proprio piacimento, senza più sottostare agli incauti capricci del nobile e alle sue manie di grandezza.
Inviò due dei suoi uomini più fidati e robusti a ritirare il baule, e nell’attesa del loro rientro si perse ad osservare un gabbiano imponente, che planava sull’acqua come la sua Gaivota, poi con un guizzo repentino si tuffava sott’acqua ad agguantare la preda. Così sognava il suo viaggio verso le Indie: piombare su quelle terre incivili ma stracolme di ricchezze, gli occhi smaniosi di un fantasmagorico bottino con cui sistemarsi per il resto dei suoi giorni.
Mentre si dilettava in tali fantasticherie, tornarono i due marinai carichi del pesante fardello: frenò a stento la curiosità di scassinare la serratura per indagarne il contenuto, e ordinò che lo facessero sparire immediatamente sotto coperta.
Mancavano ancora diverse ore alla partenza, prevista per il mattino seguente.
Ma poco dopo il tramonto, si presentò sul molo dom Sebastião in persona: venne ricevuto a bordo con tutti gli onori, lodò la perizia del capitano e la solidità della nave che lui stesso aveva finanziato; volle sapere se erano state apportate modifiche al carico o all’equipaggio, e gli fu comunicata solo la sostituzione di un mozzo con quel ragazzetto pel di carota che pelava patate nei pressi del cassero.
Lo guardò distrattamente, ma riconobbe l’abito liso e il volto sudicio del lustrascarpe che gli aveva tagliato il passo. Il mozzo voltò la testa, e sostenne il suo sguardo.
Un fremito corse lungo la schiena di quell’uomo potente, così sicuro di sé: quel moccioso sapeva qualcosa? Ma no, impossibile! …o forse sì? Si sentì gelare il sangue, e la fronte imperlarsi di un sudore altrettanto freddo. In un lampo gli balenarono alla mente tutte le miriadi di possibilità cui non aveva dato ascolto: non poteva certo rischiare tutto a causa di quel pezzente! Percepiva la propria vita in pericolo, una mareggiata avrebbe potuto spazzare via tutto con la stessa semplicità.
La sua posizione, il suo matrimonio, le sue ricchezze, i vigneti… Meglio mettere a tacere un innocente, che sfidare la sorte e ipotecare tutto per eccesso di pietà. D’altronde il mozzo era a bordo della sua nave, partecipe della sua impresa; ed è cosa nota che siano innumerevoli i pericoli che si possono incontrare in un viaggio attraverso l’Oceano, verso una terra in gran parte inesplorata ed abitata da selvaggi…
“Capitan Oliveira, una parola.”
Il capitano lo raggiunse in disparte, tra il preoccupato e il curioso di sapere quale altro capriccio l’armatore gli avrebbe chiesto di soddisfare.
“Non sarei affatto dispiaciuto se a quel nuovo mozzo capitasse un fatale incidente…”
Il tintinnio delle monete d’oro che accompagnarono la frase suscitò un brillìo di condiscendenza nello sguardo del marinaio.
Poi dom Sebastião offrì da bere a tutti, augurando che il viaggio da lui copiosamente finanziato avesse il miglior esito. Regalò alcune monete a quel rozzo equipaggio che avrebbe presto affrontato mesi di privazioni nella traversata, e infine si congedò tra urla di giubilo inneggianti alla sua generosità.
Sbarcò a terra con l’animo più sollevato. I suoi passi risuonavano sulla banchina facendo eco ai canti ubriachi dei marinai che festeggiavano a bordo, mentre la sua ombra subiva miriadi di trasformazioni diaboliche per le fiaccole che a stento illuminavano il porto.
Finché la sua maestosa figura si dileguò nei sordidi vicoli che risalivano verso la Ribeira.
